Siamo condannati alla civiltà:
o ci integriamo o scompariamo
Euclides da Cunha
Indice "Inferno verde", "polmone del Pianeta", "santuario ecologico
dell'Umanità": sono solo alcuni degli attributi comunemente conferiti
a quell'universo bio-ecologico che chiamiamo "Amazzonia".
Ma oggi l'opinione pubblica ed il mondo scientifico stanno rivolgendo all'Amazzonia un'attenzione senza precedenti, oggi che il suo futuro riguarda non solo una parte del pianeta ma l'intera umanità. La deforestazione, l'effetto serra, il buco dell'ozono sono ormai sulla bocca di tutti gli uomini, che vedono nell'Amazzonia, malgrado le distruzioni che l' affliggono,l' ultima speranza di salvezza. Eppure i milioni di donne e uomini che costituiscono gli abitanti reali, se non originari, della "grande foresta" e del "grande fiume" restano nell'ombra, schiacciati da quei macro-concetti sempre più di moda nei retorici discorsi di politici ed ecologisti. Non ci sono più Amazzoni e buoni selvaggi, che hanno saziato per secoli il bisogno di esotico dell'occidentale, il suo universo onirico. Anche il sogno è svanito. Non più esseri mezzi uomini - mezzi animali, non più "naturales", forze vergini della natura che facciano da contrasto a quelle corrotte della "Civiltà". L'Indio è sempre stato per l'europeo l'Altro puro, incontaminato ed originario, insomma, l'Altro per antonomasia, specchio di una natura supposta anch'essa come intatta ed indomata. A questo stereotipo non corrispondono invece tutte quelle forme ibride, che sono nate, in Amazzonia come altrove, dalla fusione o, per meglio dire, fissione di culture: il meticcio, "precipitato" di chissà quali commistioni, contaminazioni ed impoverimenti fisico-culturali. In Amazzonia questo "surrogato di alterità" ha un nome preciso: caboclo, termine che ha in sé l'immagine della destrutturazione del mondo indigeno. Del fallimento del sogno coloniale è rimasto lui, brutta copia dell'indio e mancata riproduzione dell'europeo. E' rimasto lui, accanto a popoli indigeni irriducibili, seppur confinati in quei paradisi artificiali del "altro perfetto" che sono le riserve. Nella necessità di perpetuare la rappresentazione dell'Amazzonia quale deposito inesauribile di risorse naturali, gli indios sono ancora strategicamente inglobati sotto la voce "Natura" ed i caboclos sono circondati da un opportuno silenzio. Quella del caboclo è così la storia di una assenza, o meglio di una esclusione dalla Storia appunto; dal panorama sociale brasiliano e dal discorso scientifico. A motivo di questo silenzio viene addotto il carattere "insaisissable "1 e di "invisibility "2 della presenza cabocla in Amazzonia. Ovunque se ne sottolinea l'indetenninatezza sul piano spazio - temporale (dove vivono? Ed inoltre, quando si sono formati come gruppo umano?) ma soprattutto sociale (quale il loro ruolo nel mondo amazzonico e nella società nazionale?). Nella visione dell'Amazzonia come teatro di lotta tra agguerrite forze dello sviluppo, il caboclo, personaggio scomodo e poco malleabile è tenuto volontariamente in disparte. Eppure, stimando la popolazione rurale dell'Amazzonia brasiliana attorno ai 4 milioni di persone3, se si escludono i circa 200.000 indios4 e la popolazione bianca di funzionari, militari, missionari e commercianti, ben si comprende che un contingente demograficamente rivelante, se non addirittura dominante, è costituito proprio da quelle popolazioni meticce che con un brasilianismo usato a livello pan-amazzonico, sono definite "caboclos". Ma, benché si abbia coscienza di tale presenza, essi sono quasi sempre sullo sfondo, schiacciati dagli elementi del paesaggio naturale: "they are viewable but rarely are viewed"5. D'altro canto anche i caboclos contribuiscono alla loro invisibilità ed inafferrabilità in quanto occupano spazi geografici e sociali diversi. Essi abitano le più disparate regioni dell'Amazzonia brasiliana e, all'interno di questo sterminato universo, vivono in habitat differenziati perché li ritroviamo nei "quartiers et faubourgs les plus socialment defavorisés de Manaus e Belém jusqu'aux petits affluents les plus idylliques du rio Negro [...]"6 Inoltre la loro mobilità spaziale si lega ad un'ampia gamma di attività in quanto esiste un caboclo rurale, contadino o seringueiro (raccoglitore del caucciù dell'albero della gomma), che vive lungo le rive del Rio delle Amazzoni, dei suoi infiniti affluenti e dei` più piccoli igarapès (canali naturali tra due isole fluviali o tra un'isola e la terra firme), ed uno inurbato, manovale o autista di taxi, che ingrossa le file del sottoproletariato cittadino, emarginato dalla società, in condizioni di estrema precarietà. Questi dunque i poli dell'"etrê caboclo"7, le due opposte e complementari realtà della sua presenza in Amazzonia. La vita del caboclo è infatti un continuo viaggiare tra questi due orizzonti della propria esistenza: dagli affluenti più "idillici" del Rio delle Amazzoni e del Rio Negro. fino alle favelas fluttuanti e fatiscenti delle "metropoli" portuali amazzoniche: Manaus. Belém, Santarém, ecc. Una grande mobilità dunque che insegue le possibilità di lavoro, ovunque esse siano. Lo stanziamento dei caboclos in una determinata area non è, salvo rare eccezioni, definitivo. Molti, come dicevo, sperimentano la vita di città, richiamati dal miraggio di migliori condizioni di vita. I delusi tornano nella foresta dove almeno è assicurata la sopravvivenza quotidiana. Per comprendere la vita del caboclo dobbiamo dunque accompagnare idealmente il suo viaggio, questo incessante risalire e ridiscendere i fiumi amazzonici, questo continuo fluire, simile a quello del fiume - mare, da una foresta verso altre foreste, e di qui verso la città. Ultima, ma forse più profonda motivazione di questo "nomadismo": la libertà che concede, la possibilità di percorrere ampi spazi senza doversi sottomettere definitivamente a nessun padrone. E' questa forse l'eredità indigena che più hanno conservato. Di questo modo di vita libero e seminomade è addirittura possibile individuare radici storiche precise: con l'espulsione dei Gesuiti dal Brasile (1755), tutte quelle genti fuse e confuse etnicamente e culturalmente nelle missioni attuano una uscita di massa da quel sistema di vita cui erano state costrette per più di un secolo: alcune tornano ai gruppi di origine nel fitto della foresta, nel tentativo di recuperare l' antica vita tribale, per quanto ormai segnata dal peso della segregazione, dell'acculturazione intertribale e della evangelizzazione forzata; altre si disperdono lungo i fiumi a costituire i primi nuclei di quelle società isolate e dai labili confini che sono oggi le società caboclas. Ma della "storia" della destrutturazione del mondo indigeno
tribale e della inarticolata costituzione di un mondo meticcio parleremo
in seguito.
Risalire alle origini ci permette di comprendere perché nessuno in Amazzonia, "neanche l'innocente indio"8, si definisca "caboclo". Il caboclo infatti, salvo rare eccezioni, non riconosce se stesso come tale, né si sente parte di una pretesa "etnia" o minoranza etnica cabocla. Etnia è infatti quel gruppo umano che si concepisce in sé ben differenziato dagli altri gruppi e tale è percepito da questi ultimi. Tanto meno si considerano indios e spesso negano, malgrado le caratteristiche somatiche lo lascerebbero supporre, di avere una pur lontana ascendenza indigena. Spesso non ne hanno neanche coscienza. Oggi "caboclo" è infatti il termine dispregiativo con cui la società nazionale brasiliana designa il contadino amazzonico con implicito riferimento ai modi rustici che lo caratterizzerebbero e alla sua bassa posizione sociale. O più semplicemente è colui che occupa uno status inferiore a quello del parlante. Per la sua condizione di "civilizzato" ai margini della società civile, il caboclo cerca una rivalsa contrapponendosi all'indio, a quello selvaggio cannibale e bellicoso o acculturato, "corrotto e destinato inevitabilmente a scomparire". Ma, benché non sia possibile affermare l'esistenza di una identità cabocla a partire da criteri etnici, il meticcio amazzonico, dopo che ha combattuto le sue battaglie. ( il Cabanagem) e dopo che un uomo (Chico Mendes) ha fatto conoscere al mondo intero la sua voce, comincia adesso a dare vita, seppur lentamente, a forme di organizzazione sindacale. E questa evoluzione poggia su quelle valenze positive che il mondo intellettuale brasiliano va conferendo al caboclo negli ultimi anni, facendo così di una identità negata una identità simbolica. Per comprendere questo glissement di senso, dobbiamo considerare le radici del termine ed il contesto in cui esso è stato di volta in volta modellato, per compararlo a quello che significa oggi essere "caboclo". La sua attuale rivalutazione fa parte di un discorso politico - ideologico di contrapposizione del Nord del paese, economicamente arretrato ma culturalmente fecondo, al Sud progredito ed industrializzato. Così, se non si può parlare di un "Nazionalismo amazzonico" perché le strutture coloniali del secolo scorso perdurano ed il potere resta nelle mani di forze esterne, il caboclo diviene almeno consapevole dei valori della sua cultura senza essere più costretto a "vergognarsi di sé". Il caboclo è così idealmente integrato e può costruire su tale idealizzazione una qualche identità, una sorta di "deviazione" dalla cultura brasiliana dominante. In realtà tutto ciò fa parte di un discorso
più ampio che è alla base di un paese come il Brasile che,
se da un lato vanta la più assoluta assenza di pregiudizi razziali.
stenta dall'altro ad ammettere le sue profonde discriminazioni sociali,
riassumibili nella frase: "o dinheiro branqueia".9
L'approccio etimologico ci consente di ricostruire la storia del caboclo attraverso i significati che, sin dalla sua prima comparsa (XVI secolo) gli sono stati di volta in volta attribuiti. Ognuno ha un referente preciso che rispecchia l'ambiente in cui è stato forgiato. Occorre quindi tornare indietro sino all'epoca della Conquista e ripercorrere il cammino che, dalla distruzione del mondo amerindio ha condotto al lento formarsi di un mondo meticcio. Di questo percorso possiamo individuare le tappe fondamentali:
In questo contesto il termine "caboclo" (se si accetta la derivazione dal tupi "caa "= "foresta" e "boc"= "quello che viene da", ovvero "quello che proviene dalla foresta") indica l'indio puro, anzi il termine è usato dai Tupi della costa per rivolgersi ai loro nemici delle foreste dell'interno. Portatore sin dalle origini di una carica xenofoba, la stessa che il termine "âáñâáñïé" aveva ricoperto nel mondo greco-romano, "caboclo" è. in questa prima accezione, sinonimo di "tapuia", termine usato per indicare la barbarie in opposizione alla civiltà.
Dunque, se nel periodo missionario permangono l'organizzazione comunitaria e la collettività dei mezzi di sussistenza, gli altri aspetti del passato tribale scompaiono o si svuotano del loro significato, contribuendo così a conferire alla cultura cabocla, un senso quasi intrinseco di "vergogna di sé". L'aspetto più evidente di questa "omogeneizzazione culturale" è la scomparsa o la caduta in disuso di molte lingue indigene (soprattutto dei gruppi Gê, Tukano e Aruàk), sostituite a poco a poco da una lingua comune o lingua franca: la lingua geral o nheengatu 12. I missionari, avendo incontrato gruppi tupi lungo la costa del Brasile e avendo dedotto che il Tupi era la lingua indigena più diffusa, la rielaborarono adattandola alla scrittura europea, e la adottarono per la comunicazione. e la catechesi. Se il linguaggio non ha solo a che fare con la realtà ma definisce una realtà, se può essere considerato "l'anima di un popolo", ben si comprende come molti popoli. perdendo il proprio linguaggio, persero anche molte delle caratteristiche distintive della propria cultura e del proprio modo di vita.
Permane dunque una connotazione "razziale" cui se ne affianca per la prima volta una socio-economica: il caboclo provvede alla propria sussistenza praticando una piccola agricoltura ed è inserito nel sistema economico coloniale prima e neo-coloniale poi come manodopera a basso costo. Le sue attività e le tecniche di sussistenza, che hanno origine nelle culture indigene, sono ormai profondamente asservite all'economia di mercato e la mobilità tradizionale è più legata ad un modo di sfruttamento dello spazio che all'eredità indigena, ricordo sbiadito di un passato di libertà e di intima comunanza con la natura. Come dicevamo, un evento storico suggella definitivamente la nascita di una prima incerta identità cabocla: il movimento del Cabanagem. Anche se non è possibile conferirgli la connotazione di "lotta di classe o di razza", perché è difficile leggervi una solida base ideologica, non possiamo neanche considerarlo una semplice sollevazione contadina di massa, visto che nella circostanza si infiammarono per la prima volta gli animi di indios, tapuios (indios detribalizzati), neri e caboclos contro un nemico comune (l'elite cittadina, ovvero la borghesia e la nobiltà creole che il popolo non distingueva più dai primi coloni portoghesi). Dobbiamo invece vedere nella rivolta del Cabanagem un momento fondamentale per la presa di coscienza, da parte del caboclo, della possibilità di costruirsi una propria identità.. Il "ciclo della gomma", nella seconda metà del XIX secolo, introducendo in Amazzonia una massa di piccoli coltivatori poveri provenienti dalle zone aride del Nordest del paese (soprattutto dallo stato del Cearà), di origine bianca o africana modifica sensibilmente la struttura del mondo caboclo, contribuendo così a definirne la configurazione attuale. Malgrado un sensibile calo delle conoscenze relative alla natura e l' inasprimento delle tecniche predatrici, il boom del caucciù non sembra aver toccato la natura profonda r del caboclo. I nordestini infatti si "caboclizzarono" in numerosi ambiti: dopo una fase di semischiavitù nelle zone di estrazione del lattice, adottarono il suo comportamento mobile, i suoi mezzi di sussistenza e non ultimo il suo universo ideologico, adattandosi così ad un ambiente naturale un tempo percepito come estraneo ed ostile. Ma anche il caboclo, attraverso l'intensa fusione sul piano fisico e culturale accolse alcuni elementi esterni che contribuirono a conferire alla sua cultura quel carattere profondamente sincretico di cui essa è tutt'oggi portatrice. Senza l'immensità amazzonica, la popolazione cabocla si sarebbe ritrovata invece sprofondata in una dipendenza quasi feudale, quale quella cui si erano sottratti i contadini del Nordest. Per definire il caboclo attuale è necessario attuare una distinzione tra significato "nazionale" e "regionale" del termine. A livello nazionale il termine "caboclo" è usato per designare una persona che vive nell'interno del paese ed occupa una posizione sociale inferiore a quella del parlante. In questo senso ha come sinonimi o termini corrispondenti il jeca dello stato di São Paulo, il caipira del Minas Gerais, il tabareu di Bahia, il matuto cearense, ecc. In ognuno domina una componente "razziale" rispetto alle altre. Così, se nel caboclo del Sud del Brasile la componente indigena è quasi nulla, nel caboclo amazzonico essa è invece predominante. Fatto questo che ha contribuito a conferire al caboclo amazzonico quella configurazione così particolare che egli riveste rispetto alla cultura brasiliana dominante. In Amazzonia per caboclo si intende il meticcio fra indios, europei e neri, che si dedica alla coltivazione delle sponde dei fiumi ed è inserito nel mercato regionale e nazionale come manodopera nell'industria estrattiva. In senso lato, caboclo è invece l'abitante, meticcio e non, (se consideriamo l'apporto nordestino di cui abbiamo parlato precedentemente) delle zone rurali. Visto però l'intenso fenomeno di urbanizzazione che sta interessando la regione, l'habitat del caboclo non è costituito come un tempo solo da fiumi e selve ma diventa sempre più quello delle desolanti favelas di città. Divenuta secondaria sia la connotazione "razziale" che la collocazione geografica, il termine "caboclo " assume oggi una valenza soprattutto sociale e culturale, designando così tutti coloro che occupano i gradini più bassi della società amazzonica. Malgrado l'estrazione del caucciù stia perdendo sempre più importanza, il caboclo continua ancora oggi ad essere reclutato come seringueiro da "padroni" locali. La "Riconquista" dell'Amazzonia (anni `70) è segnata dall'apertura di strade faraoniche, rimaste d'altronde più nella mente di chi le aveva progettate che nella realtà: molti tratti della Transamazzonica sono impraticabili e della Perimetrale Nord non resta che una striscia rossa sulla carta. Dopo la conseguente migrazione di contadini poveri e di diseredati provenienti da varie aree del paese (alla seconda migrazione nordestina si è aggiunta quella dagli stati di Mato Grosso, Goiàs e Maranhão), prendono l' avvio nuove attività quali la creazione di sconfiniate fazendas ed allevamenti di bestiame. Si torna poi in modo più massiccio a vecchi sfruttamenti quali quello dell'oro e del legname e se ne intraprendono altri (ad esempio l'estrazione del petrolio), più consoni alle esigenze di un mercato di portata internazionale. ·Il caboclo continua a praticare la tradizionale agricoltura
di sussistenza dedicandosi alla coltivazione di manioca, mais, fagioli,
riso e patata dolce ed integrando la propria dieta con i prodotti della
pesca, della caccia e con la raccolta dei frutti della foresta (papaya,
ananas, goiaba, ecc.). La popolazione si concentra nelle sedi dei municipi
(capoluoghi di regioni immense e semideserte, la maggior parte dei quali
trovano origine negli avamposti militari e nelle missioni del XVII e XVI.II
secolo), in piccoli villaggi, in sitios (piccoli centri agricoli abitati
raramente da più di due famiglie), in accampamenti provvisori ed
infine in capanne su palafitte, isolate lungo le rive di fiumi ed igarapés.
Questi piccoli proprietari (seringalistas o patrões) dipendono a loro volta dai grandi commercianti di città (aviadores), ultimi rappresentanti di quel mondo che un secolo fa costruiva il teatro dell'opera di Manaus (1896), fantasmagorica trasposizione della cultura e dell'arte di fin du siècl nel cuore della giungla, oggi muta testimonianza di coloro - soprattutto indios e caboclos - il cui indiscriminato sfruttamento fu il prezzo di quell'effimero splendore. Quella del seringueiro é una attività massacrante, in completa solitudine e piena di pericoli (serpenti, giaguari). Eppure un rapporto di vero e proprio "padronato" lega il dipendente al suo datore di lavoro. E' grazie a lui che il caboclo ha in concessione la terra con, le seringueiras (nome locale dell'hevea brasiliensis), gli strumenti di lavoro ed il sostentamento quotidiano; è a lui che deve vendere il frutto delle sue fatiche per ricevere in cambio un salario che poi, per paradosso, spenderà quasi completamente come fregues (cliente), costretto a comprare i prodotti del magazzino del suo padrone. Il caboclo è cosi perennemente in debito, dominato da leggi invisibili cui però non può - né vuole talvolta - sottrarsi. Egli fa parte di una gerarchia di padroni e clienti, di una rete di debiti che inizia con lui "cliente senza clienti" e termina con i grandi imprenditori di città, "padroni senza padrone". Le relazioni tra padrone e cliente sono rafforzate attraverso la pratica, in uso presso le classi sociali più deboli, di legare il padrone alla propria famiglia conferendogli lo status di parente fittizio. Questo legame deve essere considerato estremamente funzionale in comunità disperse come quelle caboclas, dove la parentela effettiva è molto limitata ed il bisogno di collaborazione e di protezione è notevole. I rapporti di parentela diventano così un meccanismo culturale per conferire un margine di sicurezza ad una vita precaria. ascrivendosi come "parenti" personaggi in posizioni di prestigio e potere. Un osservatore esterno, considerando una comunità in un dato momento, sarebbe in grado di fornire una immagine esatta delle attività economiche dominanti e delle pressioni esterne che ne condizionano la vita. Ma questa istantaneità maschera il carattere polivalente delle attività caboclas, legate a ritmi naturali quali l'alternanza di una stagione secca (quando è possibile piantare la roça - il campo - e lavorare nel seringal e di una piovosa (quando i frutti non sono ancora maturi, i seringais inaccessibili e non resta che dedicarsi alla pesca) e soprattutto alle possibilità di lavoro. Anche quando sono ritenuti specialisti di una attività, la loro innata instabilità li induce a considerarla sempre come provvisoria e quindi a non privilegiarne alcuna. Ma proprio questa grande mobilità spaziale e la flessibilità ad ogni tipo di lavoro salariato, fanno del caboclo un ottimo conoscitore delle immense regioni dell'Amazzonia. L'identità cabocla non può essere dunque legata ad un ambiente o ad una zona circoscritta, perché ogni punto umanizzato dello spazio amazzonico può essere il loro. Il caboclo amazzonico è cattolico. Caratterizzazione questa che si rivela superficiale o insoddisfacente se intendiamo per "religione" il complesso delle interrelazioni tra uomo e sovrannaturale.Il cattolicesimo del caboclo è marcato dalla devozione verso i santi patroni delle diverse località. Ma numerose altre credenze che, come gli elementi della cultura materiale e le conoscenze relative all'ambiente naturale, sono in gran parte di provenienza indigena, coesistono accanto a questa forma di cattolicesimo popolare. Secondo la concezione magico-religiosa del caboclo, che è allo stesso tempo visione del mondo e pratica di vita, il fiume e la foresta sono popolati da esseri sovrannaturali che devono essere rispettati se l'uomo vuole mantenere il legame - sempre più sottile - tra Natura e Cultura. Molti di essi non sono altro che divinità del pantheon dei Tupi-Guarani che, al momento della loro incorporazione nella religione del caboclo, sono stati reinterpretati e adattati al nuovo ambiente materiale ed ideologico, perdendo la propria funzione originaria. Il caboclo crede infatti che le profondità di fiumi, laghi ed igarapès, siano abitate dai companheiros do fundo (letteralmente: "compagni del fondo"), creature dalla pelle bianchissima che vivono in un mondo sommerso, dove tutto brilla come fosse ricoperto d'oro. Essi sono in tutto simili agli esseri umani, a differenza del fatto che hanno poteri speciali che possono essere controllati solo dai pajès (sciamani), di cui diventano spesso spiriti aiutanti nella realizzazione di cure o pratiche di feitaçaria (stregoneria). Molti pensano che si presentino sotto forma di botos (delfini di fiume), altri ritengono che questi ultimi costituiscano una categoria a parte di "esseri incantati". Al boto si attribuisce solitamente una malvagità particolare, ma delle due varietà - il tucuxi, piccolo e scuro ed il vermelho, rosso e più grande, solo quest'ultimo è ntenuzo pericoloso. Il boto è attratto soprattutto dalle donne mestruate che, spinte da una incontenibile passione, si precipitano verso il fiume o restano preda di uno strano malessere che le conduce alla pazzia e quindi alla morte. La Cobra Grande è un'altra creatura del mondo acquatico, descritta a somiglianza di un sucurì (anaconda) gigantesco: gli igarapès non sarebbero altro che i solchi da essa lasciati nel suo percorso terrestre. Currupira, o meglio i currupiras, visto che ce ne sono molti, sono indios di bassa statura (come i Macuxi), dalla pelle molto scura ed i piedi voltati all'indietro. Currupira lascia che l'uomo uccida gli animali per alimentarsi, ma non permette di abusarne. Ogni ., spreco è una offesa alla natura, ogni animale che viene ucciso suscita l' ira di questo custode della foresta e dei suoi abitanti. Currupira somiglia in tutto e per tutto ad un essere umano: le sue grida stridule ed il suo pianto sono udite spesso dai caboclos. Imita infatti la voce umana per attirare le vittime ignare. Ma è invisibile e vive in solitudine nelle zone più interne della selva, lontano dal mondo degli uomini. Dai molti racconti di cui è protagonista, sembra che tutti lo conoscano ma nessuno lo ha mai visto, ad eccezione di qualche seringueiro, costretto per il suo lavoro a passare molto tempo nella foresta: per ingraziarselo lascia lungo il sentiero che percorre tabacco e cachaa (acquavite locale), doni particolarmente graditi a Currupira. Altri esseri sovrannaturali delegati alla difesa della natura sono le mães dos bichos (letteralmente: "madri degli animali"). Queste entità puniscono coloro che uccidono un numero eccessivo di animali "rubandogli l'anima". (Il termine portoghese "assombração" indica infatti uno spavento che provoca la perdita della "sombra" e cioè dell'anima). La credenza in questi spiriti è strettamente legata alla vita quotidiana del caboclo ed è parte essenziale della sua visione del mondo. Un preciso codice culturale vieta infatti a cacciatori e pescatori di eccedere nel cacciare o nel pescare alcune specie particolari o che rischiano l'estinzione.14 Più che ad una esclusiva origine amerindia degli esseri sovrannaturali che popolano il mondo magico-religioso caboclo si deve però pensare piuttosto al risultato di un complesso "sincretismo culturale", in cui ha pesato l'influenza africana e quella del cattolicesimo e dell'immaginario popolare europeo (più precisamente luso-ispanico) sull'originaria idea indigena dell'esistenza di entità protettrici della natura. In quest'ultimo secolo si sono poi diffusi; sia in area urbana che rurale, nuove religioni e nuovi culti come lo spiritismo (soprattutto attraverso la setta del Santo Daime che fonde in sé rituali indigeni quali l'assunzione di bevande allucinogene come l'ayahuasca e pratiche di possessione spiritica) ed il protestantesimo (con le sue innumerevoli sette: pentecostali, avventisti, battisti, ecc.); mentre là dove più significativa è stata l'influenza degli schiavi africani prima, e degli immigrati nordestini poi, fioriscono sempre più i cosiddetti "culti afro-brasiliani" come l'umbanda e il batuque. La massiccia migrazione in atto dalla foresta alla città
ha portato la cultura cabocla a contatto con quella degli strati più
bassi della società urbana. Questi culti divengono così l'espressione
di un mondo alla deriva, che lascia l'originario isolamento per ammassarsi
in sobborghi di povertà e disperazione.
Ma il basso Amazonas, uno dei luoghi dove maggiormente
quelle culture fiorirono e si svilupparono, è oggi una delle regioni
dell'amazzonia Brasiliana in cui la presenza india è minore. Solo
i caboclos sono sopravvissuti, dando vita ad una cultura originale e adattata
all'ambiente. Eppure anche i caboclos sono in pericolo, scacciati, come
gli indios, dalle loro terre per farne pascoli e miniere: se non saranno
sterminati fisicamente come i loro "antenati", gli verrà tolto anche
l'ultimo ricordo del passato.
Il "Projeto Caboclo", elaborato dal grande antropologo e senatore della Repubblica brasiliano Darcy Ribeiro, proprio poco tempo prima della sua scomparsa, per una occupazione alternativa dell'Amazzonia è tanto nobile nelle intenzioni quanto utopico nella sua realizzazione. "Il progetto dovrebbe essere finanziato inizialmente dalla "Associação Cristã de Pesquisa e Preservação do Meio Ambiente, legata alle chiese della "Assemblea de Deus". Il costo totale non è stato ancora stimato, ma la chiesa garantisce di aver già raccolto per lo meno 30 milioni di dollari da destinare all'impresa. La proposta prevede di installare sperimentalmente 10 o 12 comunità di indios e caboclos, ognuna costituita da 50 famiglie, in aree di almeno 5.000 ettari"15. L'idea di restituire alla foresta i legittimi abitanti, dandogli la possibilità di viverci in modo dignitoso, sottraendoli così alle pessime condizioni di vita che offre loro la città, ci sembra francamente di difficile attuazione. Ed i caboclos lo sanno. La possibilità di tornare un giorno nel cuore della selva è un'utopia collettiva che partecipa a quell'ideale di libertà che colora la loro vita e la cui origine va ricercata nelle società indigene cui appartenevano i loro antenati. E la libertà mille volte perduta rimane la vera posta in gioco di fronte all'improbabile integrazione dei caboclos quali cittadini brasiliani a tutti gli effetti. Ma, mano a mano che si distrugge la foresta, i personaggi del mondo mitico indigeno e caboclo si ritirano in zone sempre più inaccessibili all'uomo, finché nessuno si ricorderà più della loro esistenza. E allora i caboclos, invece di seguire le orme di Currupira, che potrebbe condurre anche loro alla definitiva scomparsa, scelgono di integrarsi per sopravvivere. Note 1 F. et P. Grenand, "L'identitè insaisissable. Les Caboclos amazonienses" in Etudes Rurales, Laboratoire de Antropologie sociale, Paris 1990, pp. 17-37 2 S. Nugent, Amazon caboclo society. An Essay on Invisibility and Peasant Economy, Berg Publishers, Providence 1993 3 "La popolazione complessiva degli 8 stati costituenti l'Amazzonia brasiliana (Acre, Amapà, Amazonas Mato Grosso, Mato Grosso do Sul, Parà, Rondonia e Roraima) è, al 1991, di 13.058.915 di cui 8.214.940 in area urbana e 4.843.975 in area rurale (Fonte: Censimento IBGE, dicembre 1991 )" in Amazzonia: i Popoli della foresta di T. Aymone, Bollati Boringhieri, Torino 1996. 4 Riportiamo questa cifra in modo approssimativo perché la stima della popolazione indigena attuale dell'Amazzonia brasiliana è molto controversa ed oscilla, a seconda della fonte, tra i 160.000 e i 280.000 individui. 5 S. Nugent op. cit. pp.20 6 F. et. P Grenand, art cit. pp 17 7 F. et P. Grenand, art. cit. ibidem 8 E. Parker (ed.) The Amazon Caboclo: Historical and Contemporary Perspectives, College of William and Mary, Williamsburg 1985 pp. viii 9 "Il denaro `imbianca'!" 10 Le cosiddette "droghe dell'interno", stanno ad indicare quei prodotti della foresta come la salsapariglia, i fiori di garofano, la vaniglia, il cacao e radici aromatiche la cui raccolta costituì la base dell'economia coloniale nei primi secoli della Conquista. 11 In questa seconda accezione, caboclo ha ancora come sinonimo tapuia, ma ad esso si aggiunge anche quello di curiboca (meticcio di bianco e mameluco) e di cafuzo (meticcio di nero ed indio) passando ad indicare così qualsiasi tipo di meticcio. 12 Diffuso dai missionari gesuiti nel XVII secolo, il nheengatu o lingua geral - il tupi dell'Amazzonia - è una rielaborazione del tupi- guarani, idioma degli indios Tupinambà, che occupavano la costa all'epoca della Conquista e di altri gruppi Tupi dell'interno. Il tupi dominò varie regioni del Brasi(e e, adottato anche da gruppi indigeni appartenenti a famiglie linguistiche diverse da quella Tupi, diede vita a quel processo di "tupinizzazione" che è il presupposto della cultura cabocla. La lingua geral è stata parlata dai caboclos sino alla seconda metà del 1800, sostituita a poco a poco dal portoghese. 13 C. Levi Strauss, Tristi Tropici, EST, Milano 1996, pp.355. 14 Se consideriamo che la foresta amazzonica presenta il più complesso ecosistema conosciuto e che tale complessità è caratterizzata da una molteplicità di specie, ma da un basso numero di individui al loro interno; ben si comprende come la cultura cabocla, che in tale ambiente prende forma, fornisca una risposta alla sua bassa produttività. Per questi concetti cfr. soprattutto E. Moran: "The Adaptive System of Amazonian Caboclo" in Man in the Amazon, C. Wagley (ed.), University of Florida Press, Gainsville 1974; E. Galvão: Santos e visagems, Companhia Editora Nacional, Sáo Paulo 1955; B. Meggers: :Man and culture in a counterfeit paradise, Aldine, Chicago 1971. 15 Da una pagina della Folha de São Paulo, 18 febbraio 1997.
Silvia Zaccaria |